"Il Comune di Reggio Calabria non ha i soldi neanche per piangere"

Anna Pasternak 1di Ariella Lea Heemanti - Alla fine dell'estate scorsa, prima di lasciare la città, la spiaggia l'avevo ripulita più volte.

Ogni volta che andavo sul lungomare e da là vedevo con desolazione una marea solida di plastica, di carta, di oggetti di gomma o di ferro arrugginito ricoprire la sabbia e le sue conchiglie piene di eco, le sue pietre bianche o quelle dai colori più impensati, che l'acqua e il tempo formano e su cui qualche volta ci si piega per raccoglierle con stupore.

Così, solo così dovrebbe essere la spiaggia, con le scie delle sue vere maree, e io non potevo evitare di ripulirla dai corpi estranei, anche se non sarebbe durata, se quella non era una questione di ordinaria immondizia sul mare, purtroppo comune a molti luoghi della terra, ma una più dura, ostinata concezione della città affossata nel suo malgoverno trasversale e in una ben precisa sudditanza di 'ndrangheta.

Scavalcavo i muretti di recinzione oppure discendevo ad uno ad uno i gradini che portano sulla battigia, quasi dentro l'acqua del mare. Raccoglievo per ore le bottiglie, i fazzolettini e le salviette, i turaccioli e il polistirolo, i bidoni e i pezzi di legno carbonizzati.

Le signore che di lato prendevano il sole mi guardavano con distratta perplessità, e forse un po' schifate. Quanto a continuare ad abbronzarsi, invece, in mezzo a tutto quello schifo, bastava non accorgersene, porgere il viso al sole, pensare ai fatti propri, anche in questa circostanza.

Una mattina, riponendo nei cestini di ferro tutto il pattume raccolto dentro gli stessi sacchetti di plastica lasciati da qualcuno là il giorno prima, con incuria e oltraggio, oppure rigurgitati a mano a mano dal mare dopo chissà quali, quanti giorni, persino mesi, anni, vidi un gruppo di operai con il giubbotto color arancione intenti a riparare uno degli scalini di quella scalinata di marmo nero che a me è sempre sembrata un arredo dei Casamonica. Chiesi al capomastro come mai non ci fosse, da parte del comune, la stessa solerzia e la stessa tempestività nel far ripulire la spiaggia che per tutta l'estate avevo visto in quelle condizioni, mentre i ristoranti, le sdraio, gli ombrelloni, i divani bianchi e le chaise longue servono a protrarre una illusione, ciò che l'ex sindaco ed ex governatore Giuseppe Scopelliti continua a chiamare "un sogno", rimproverandone la fine a chi ha sciolto per mafia la sua amministrazione soltanto per malevolenza, per punire ed estromettere una intera classe dirigente, dice lui, ora ripartito, senza remora e senza pudore, alla conquista di un posto con il Movimento nazionale per la sovranità; di stampo fascista, viene da dire.

Il capomastro si irritò e rispose: «Qui si tratta di uno scalino rotto, qualcuno può inciampare, farsi male e denunciarci. La spiaggia la sporcano gli altri. Non c'è niente da fare. Una volta io stesso ho visto una scolaresca ripulirla, sono venuti qua e si sono messi a pulire tutta la spiaggia, ma tanto la gente continua a sporcarla. Che cosa può fare il comune? Il comune di Reggio Calabria non ha i soldi neanche per piangere e sono mesi che a noi non vengono pagati gli stipendi».

Io avrei voluto replicare che per piangere non ci vogliono soldi, almeno questa è l'esperienza di lunga data degli esseri umani, ma lasciai stare e continuai a mettere e rimettere nei cestini le schifosità raccattate sulla sabbia, persino su quella fine e liscia della battigia, dove dovrebbero restare solo conchiglie e, semmai, le tracce, le orme di chi cammina con la vita, trasportandone il peso dolce e responsabile.

Anna Pasternak 2Poi, la plastica, la carta, la gomma da quelle pattumiere indifferenziate chi l'avrebbe ritirata? Quale era adesso la società incaricata dal comune di prelevare i rifiuti dai cestini di ferro del lungomare? Quale era ora il ruolo delle 'ndrine nel panorama molto ambito della spazzatura, dopo lo scioglimento della Leonia dentro cui gli arcoti, oltre ad annusare subito, con ferocia e bramosia, il guadagno su cui mettere le mani, avevano ordinato al direttore operativo chi assumere e chi no, mentre il senatore Antonio Caridi e l'ex sindaco facente funzioni Demetrio Naccari Carlizzi, da destra e da sinistra, fanno a gara oggi nel rassicurare i magistrati del fatto che loro non si fossero accorti di nulla, che non vi fosse alcuna "anomalia" da notare, e che il dirigente Bruno De Caria non avesse dato adito ad alcun sospetto di subalterna intesa e spartizione con i padroni mafiosi dei quartieri della città?

Mi domandavo questo continuando ad andare su e giù dai cestini al mare, alla spiaggia contaminata, deturpata non solo dalla violenza di coloro che vi gettano e lasciano i propri rifiuti come se questo fosse un loro diritto collaudato, ma anche dalla colpevolezza di chi crede e sostiene che tanto non ci sia nulla da fare, che il comune non abbia soldi neanche per piangere, figurarsi per provvedere e, prima ancora, per impedire in ogni modo che si faccia scempio del suolo pubblico anche in questo modo, con lo scialo di bottiglie, bicchieri e scatole della pizza riversato sulla ghiaia, dopotutto non si tratta di uno scalino in stile casamonica danneggiato, di un possibile inciampo da parte di un malcapitato e di una eventuale denuncia di fronte alla quale essere previdenti.

Come se per la spiaggia, per il mare, per le condizioni in cui essi versano, non debbano e non possano esserci denunzie, chiamate in correità e solo, invece, quei ristoranti, quegli ombrelloni, sdraio e chaise longue, quei divani bianchi sulla riva che diano un'altra impressione, avvalorino l'idea del lungomare più bello, e permettano ai fautori del modello Reggio di vantarsi ancora di un sogno falso, che dominava la realtà mentre una consulente si autoremunerava con centinaia di migliaia di euro, dispensava ai preti finanziamenti immediati per il restauro di portoni, e il sindaco chiamato poi a rispondere di questo rispondeva che ogni giorno le sue mansioni prevedevano la firma di decine e decine di delibere. S'è mai visto che un primo cittadino debba controllare e, non sia mai, interrogare, interrogarsi, o che, a distanza di anni, dopo una condanna, neanche al ricordo di un suicidio nel porto della città, di una persona priva oramai della baldanza, dell'arroganza, del potere su cui aveva contato, e incapace di far fronte alla verità, alle conseguenze dei misfatti, questi provi il senso della decenza e taccia, trovi qualcosa da fare che non sia continuare a propinare fandonie tinte e ritinte con quei pervicaci colori della "Reggio Calabria anni '70" e della sua apologia?

Quella mattina continuai sino al primo pomeriggio a pulire e ripulire la spiaggia. Anche gli atleti casalinghi di jogging mi lanciavano dall'alto occhiate si può dire di biasimo:

«Ma che fai? Ma chi sei? Ma sei normale?».

Era un attimo. Poi quelli continuavano la corsa, con il cappellino, gli occhiali, il telefonino, e l'aria di concludere: «Se ne vedono di tutti i colori».

A mezzogiorno passò una coppia di pensionati dotati di grazia, armonia, amore reciproco evidente. Si soffermarono, sorrisero e mi chiesero che cosa stessi facendo, anche se l'avevano capito subito. Glielo dissi. Raccontai loro di ciò che mi aveva risposto il capomastro qualche ora prima, che il comune di Reggio Calabria non ha i soldi neanche per piangere, e di come però, nei rimpalli delle colpe pregresse, non suoni ammissibile che durante la "primavera di Reggio", la consorte di un boss della 'ndrangheta latitante percepisse dal comune gli assegni familiari, poiché insomma, gli introiti di tangenti, appalti, estorsioni e droga, della supremazia sul territorio, non bastavano mai, e questo comune, questo disgraziato comune che dice di non avere soldi neanche per piangere, forse dovrebbe piangere gratuitamente al solo pensiero che in passato abbia persino pagato in assegni la moglie e la prole di un criminale. Sì, senza accorgersene, senza curarsi di accertarsi chi ci fosse o non ci fosse dietro quella richiesta.

Parlai loro anche dell'insopportabilità di vedere là, sul lungomare, quel cippo per commemorare Ciccio Franco, il "capo del rione Sbarre", il capopolo di piazza Italia, arrestato per istigazione a delinquere e dedito anch'egli alla latitanza, e questa è la storia, se anche la si vuole mistificare barattando con protervia lo sguardo di velluto profondo e lieve, morale, di Giacomo Matteotti con l'aspetto tronfio di un pericoloso comiziante.

Anna Pasternak 3L'uomo annuì.

Disse: «In questa città non c'è cultura, non c'è memoria, non c'è legalità. Io per un po' ho lavorato per la Multiservizi, poi me ne sono dovuto andare perché con quelli non si può avere a che fare».

Sua moglie aggiunse:«Si vive male in questa città. Le persone come noi vengono trattate con presunzione perché siamo di paese, ma lei li guardi i cittadini, come vivono. La spiaggia tenuta in questo stato ne è un esempio. Noi abbiamo studiato, a suo tempo, in questa città. Abbiamo scelto di restarvi a vivere, con questi risultati. Ma mi dica, a lei chi lo fa fare di venire qua e pulire con le sue mani questa sozzura?».

Lì per lì risposi che a me era stato insegnato a prendere parte all'autentica bellezza del mondo, non alla sua distruzione, che lo facevo per questo, per la parte di bene che D-o assegna ad ognuno, che anche quella era la mia parte, non rimanere indifferente e passiva dinnanzi a quella turpitudine di sporcare il mare, di infischiarsene, lasciarlo così, scrollare le spalle e giustificarsi con la mancanza di soldi e la difficoltà persino di piangere.

La coppia se ne andò salutando con gentilezza e con un distacco elegante da tutto quello.

Io continuai a togliere bottiglie di plastica, cartoni, ciabatte e scarponi marciti, giocattoli, mozziconi di sigarette, pezzi di compensato, proseguendo e arrivando ormai quasi sino alla fine della spiaggia, verso la stazione. La domanda della signora, "ma a lei chi lo fa fare", mi risuonava nelle orecchie e ora mi scandalizzava Chi glielo fa fare, chi glielo fa fare, la domanda da non farsi mai, che è anch'essa, forse, la disgrazia di una città come questa.

Una ragazza bionda che poco prima era seduta là, su una delle panchina, scomparve e poi riapparve con un rotolo di sacchetti per la spazzatura, perché aveva visto che non li avevo e che usavo quelli trovati qua e là persino nell'acqua. Si avvicinò e mi disse: « Prendi, sono andata a comprarli». Io le dissi che mi dispiaceva, che non intendevo incomodarla, ma lei sorrise, con movimenti attenuati si piegò sulle punte dei piedi, srotolò i sacchetti di plastica verde, mi aiutò a tenerli aperti mentre vi riponevo la spazzatura che avevo ammassato là sui bordi del selciato.

Disse piano: «Non mi hai chiesto niente, l'ho fatto da me, mi fa piacere aiutarti».

La spiaggia ora respirava e anch'io, verso le tre del pomeriggio, tirai un sospiro di sollievo, misi le mani nell'acqua del mare, a lungo, poi me ne andai.

Fu prima di partire che tornai, e che mi misi a pulire ancora una volta quel lungo tratto di spiaggia.

Ormai era autunno e sempre di mattina io rivedevo il sozzume sulla sabbia.

Chi glielo fa fare: una domanda inconcepibile.

Ormai era così semplice scavalcare il parapetto, fare un piccolo salto e ritrovarmi tra le insenature del mare, mettermi subito a raccogliere tutto ciò che potevo. Quella volta vidi persino delle t-shirt ammonticchiate in un angolo. L'acqua delle piccole calette era verde per il muschio, era bella. Due uomini stavano in piedi sulle rocce che sporgono, guardavano in lontananza, verso l'altra parte del mare, in Sicilia. Mi videro china a raccogliere tutto quello e sorrisero. Dissero: «Brava, anche noi l'abbiamo fatto, qualche volta. Noi siamo di Taranto, e anche là il mare, la spiaggia, sono ridotti così». Al collo portavano pendagli. Erano molto scuri di pelle, avevano occhi verdi e un'aria da guappi. Forse erano mafiosi della sacra corona unita. Forse no. Chi lo sa che cosa cercavano e volevano più a sud della loro città, con quello sguardo verso l'isola là di fronte, su chissà che cosa, su chissà quali piani.

Anna Pasternak 4Il giorno cresceva e i passanti passavano là di sopra, i soliti patiti di jogging, o gli uomini e le donne che passeggiando lanciavano occhiate fuggevoli su quello che stavo facendo, raccogliere, continuare a raccogliere ciò che non dovrebbe mai esservi sulla spiaggia, perché non si può restare a guardare neanche in una tale situazione.

Passò il ragazzo arabo in bicicletta. Si fermò e sorrise anch'egli. Disse:«Che bellezza, avremmo bisogno di persone come lei, qui. Ma lei non abita qui?».

«Se le dico dove abito – gli dissi io -, in quale stato del mondo, la cosa non le piacerà per niente». Insistette per sapere dove abito, e il suo commento fu: «Non ci credo».

Non voleva credere di aver fatto i complimenti a una che viene dal paese da non nominare nemmeno, da rifiutare, come le proprie stesse parole una volta che ci si trova davanti alla smentita della mitologia negativa con cui si è cresciuti, attorno a cui, solamente, concentrare il proprio interesse di esistere, di vivere e lavorare, di amare, soffrire, di sperare.

Ed eccolo l'arabo Gashmù, che al tempo di Nehemiah, del rientro da Susa, della ricostruzione delle porte di Gerusalemme e della riunione dei dispersi, accusava il popolo ebraico di cospirazione contro il re Artaserse e contro l'impero persiano. Ripulire il mare può presentare anche una scena così, impressa nel tempo, riemersa nella luce d'autunno di una città del sud che vive anch'essa di miti negativi dai quali sembra non volersi svegliare, redimere.

E non ci vogliono soldi per piangere, in una città, di dolore, di solitudine, per la violenza che devasta il negozio di chi non vuole pagare il pizzo alla mafia mandando a monte il significato e il decoro di tutta una vita.

Neanche per sorridere, ci vogliono soldi, voltando le spalle al ragazzo arabo in bicicletta che smette di credere alle sue stesse parole, se esse contraddicono la credenza nefasta di cui è prigioniero, come la città in cui anch'egli ora abita, pedalando sul suo lungomare.

Poi venne un signore anziano, portava la coppola. Anch'egli sorrise, sorridevano tutti, ormai.

Disse che ci vorrebbe, nella città, un quaranta per cento di gente così, "che fa quello che sta facendo lei". E io gli dissi che in fondo sarebbe bastato che lo facesse uno solo, ogni volta. Bastava, nonostante l'interrogativo fosse lo stesso: chi avrebbe poi ritirato la spazzatura, nel comune che lamenta di non avere i soldi neanche per piangere, nel comune della Multiservizi dove Demetrio Arena faceva il consulente, gli arcoti erano i veri proprietari, Giuseppe Scopelliti diceva di "gioire" della determinazione del procuratore Pignatone nel rivelare gli intrecci di "una borghesia mafiosa" fatta di soci e prestanome degli uomini d'onore, "come se lui, Scopelliti, avesse fatto parte di un altro pianeta", mi disse in quella stessa giornata una ragazza, in un negozio.

Sul lungomare più bello in Italia sono tornata qualche settimana fa. Non avevo animo di guardare bene la spiaggia, di rivedere l'abbondanza di spazzatura su di essa. Poi una mattina mi sono decisa.

Sono scesa e ho ritrovato le bottiglie, le carte, i bicchieri di plastica trasparente, le accozzaglie di cose di ogni genere, persino un sacchetto con dentro escrementi che emanavano un odore rivoltante.

C'erano raffiche di vento e il mare d'inverno, si sa, è intenso. Ragazze sedevano sui sedili di pietra bianca, confabulando. Altri conversavano in gruppo, in piedi sulla sabbia, le mani in tasca, e guardavano solo a tratti me che raccoglievo rifiuti su una spiaggia da immaginare ancora semplice, originaria, come non è mai stata nel modello Reggio, neanche in primavere reggine e nelle scalinate di marmo nero che sormontano lo sporco. Uno spettacolo desolante che affiora dall'inganno glamour.

C'era anche un ragazzo africano seduto là, in attesa, forse uno di coloro che arrivano con le navi. Taceva e pensava. C'erano riverberi di sole nei suoi occhi neri.

Adesso anche Matteo Renzi è venuto sul lungomare più bello, e forse il sindaco Falcomatà la spiaggia per questo l'ha fatta pulire, colpa o non colpa degli altri. Non so. Insieme essi hanno risalito la scalinata, ridendo, altro che piangere.

Anna Pasternak 5

Raffigurazioni: Anna Pasternak

Senza bagnino

Maternità

Amici

Giorno di pioggia

Il pescatore e sua moglie