L’Economia del Sud alla prova del Covid-19

italiaspezzata500di Paolo Zagami* - Il Nord Italia è certamente molto più colpito dalla emergenza sanitaria rispetto al Mezzogiorno. E' un dato di fatto incontrovertibile ed indiscutibile. Gli esperti scientifici ci spiegheranno il perché.

Se però valutiamo da una altra prospettiva gli effetti devastanti causati dal Covid-19 forse (rectius: probabilmente) sarà il Mezzogiorno ad essere colpito.

Lo diciamo subito: lungi da noi il volere fare un "derby" tra Nord e Sud oppure procedere con il solito vittimismo in questo momento così difficile per l'Italia intera. Ma in questi giorni leggiamo ed ascoltiamo che tutti i potenti imprenditori del Settentrione evidenziano a voce alta la necessità di ripartire immediatamente con la produzione industriale. Che le quattro Confindustrie regionali di Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono in pressing sul Consiglio dei Ministri nel sottolineare i rischi che la crisi economica si trasformi in depressione per il Nord Italia. Che il prodotto interno lordo italiano si crea in stragrande maggioranza nelle fabbriche della Padania che rappresentano la locomativa del Paese e che dunque devono essere tutelate il più possibile.

Non una parola sul futuro economico del Sud o dal Sud.

Eppure già prima di questa fase di emergenza era noto che secondo varie stime indipendenti il Mezzogiorno era tra le aree più sottosviluppate della intera Europa Occidentale. Con un trend occupazionale secondo Svimez in costante calo ed imprese e cittadini allo stremo. Le imprese con difficoltà enormi ad accedere al credito perché oppresse da debolezze strutturali dovute alla minora dimensione e ad un minor tasso di capitalizzazione. Ed i cittadini spesso senza contratti, senza tutele, senza garanzie ed impegnati anche in attività non di rado abusive.

All'evento più importante della storia da 75 anni ad oggi, il Sud si è insomma presentato in condizioni pessime. E questo scenario economico era stato indirettamente certificato anche dalla Commissione Europea che ad Ottobre con una lettera inviata al Governo italiano aveva invitato il nostro esecutivo a garantire un adeguato livello di investimenti al Sud, in mancanza dei quali si sarebbe proceduto con una "rettifica finanziariaW, che significa un taglio dei fondi strutturali. Perché? Perché per usare le parole del Direttore Generale per la Politica regionale della Commissione Ue erano "da sottolineare le cifre più che preoccupanti sugli investimenti al Sud, che sono in calo e non rispettano i livelli previsti per non violare la regola Ue della addizionalità".

Prendiamo dunque atto che non si è stati capaci di intercettare i Fondi Europei ma che almeno si capisca che le politiche assistenziali in generale e l'ammortizzatore del reddito di cittadinanza in particolare rischiano di non bastare più in mancanza di un progetto concreto e mirato.

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Stando così le cose ed in mancanza di idee e strumenti nuovi, il gap economico tra Sud e Nord è destinato ad ad aumentare ancora ed ancora con conseguenze perfino più drammatiche. Si pensi anche alle organizzazioni criminali che in periodi di crisi economiche - se lo Stato non riesce a supportare ed intervenire – trovano terreno fertile nel consolidare il proprio potere "vampirizzando" le imprese del Sud che si trovano spolpate, senza denaro in cassa e senza prospettive. A differenza di quelle del Nord le quali vantano un comparto produttivo tale che dopo un fisiologico periodo di assestamento gli farà ripredendere vigore.

Per questo bisognerebbe allora reclamare, invocare, esigere subito ed adesso un Piano Speciale per il Sud che preveda in primis la esecuzione di grandi opere pubbliche come ade sempio la realizzazione del sistema portuale del mediterraneo volano di sviluppo ed occupazione. Serve un grande piano di investimenti pubblici che punti a realizzare infrastrutture materiali, sociali e immateriali e non più opere incompiute o ultimate con anni di ritardo, lievitazione abnorme dei costi, abuso delle varianti in corso d'opera e sprechi di risorse.

Senza dimenticare la necessità di considerare finalmente la sanità come un bene sociale perché i bilanci regionali delle Regioni del Meridione sono stati assorbiti quasi interamente proprio dal comparto sanitario ma il diritto alla salute non si è concretizzato nell'avere le giuste strumentazioni mediche ed un servizio di qualità tanto che abbiamo assistito all'esodo di migliaia di nostri conterranei che ogni giorno si mettevano in viaggio verso il Nord se volevano essere certi di ricevere le migliori cure per i propri malanni.

Sembra che la parola crisi deriva da quella greca "krisis" che vuol dire scelta. Ecco, dopo la Pandemia che ha travolto il nostro Paese ed il mondo intero sarà arrivato il momento della scelta. Siamo ad un bivio: ampliare ancora di più la frattura di un Paese già diviso in due oppure rilanciare concretamente il Mezzogiorno.

Un territorio non si sviluppa economicamente e socialmente se non vengono progettate opere pubbliche che garantiscono posti di lavoro, se la gente è costretta ad andare a farsi curare altrove, se le mafie comandano, se non si da fiducia alle imprese e se non si intercettano le risorse internazionali. Ed allora se si vuole realmente rilanciare il Sud Italia bisognerà ripartire nelle sedi competenti da infrastrutture, sanità, lotta alla criminalità, accesso al credito e fondi europei.

Non ci si dimentichi adesso del Mezzogiorno. Altrimenti finirà. Colpito ed affondato.

*Avvocato Internazionale e Docente alla Università Mediterranea