La trappola delle donne vittime di violenza: se la casa non è un luogo sicuro per tutti. L’appello dei centri antiviolenza: “Abbiamo bisogno dell’aiuto delle Istituzioni”

VIOLENZA DOMESTICAdi Mariateresa Ripolo - Vittime costrette a coabitare con i loro carnefici, a occupare gli stessi spazi, a vivere una quotidianità che per chi subisce rappresenta un incubo. Una trappola che, nei casi più estremi, può essere addirittura mortale. Non è facile gestire la paura che il coronavirus ha portato improvvisamente nelle nostre vite, ancora peggio se la paura si fa doppia: se il senso di sopraffazione è dettato da condizioni estremamente destabilizzanti che vanno oltre il timore di poter contrarre un virus ancora sconosciuto.

«Io resto a casa». Ai tempi del Covid-19 stare a casa può significare preservare la propria salute, quella dei propri familiari e quella di chi incontriamo; per altri, tuttavia, può significare ben altro. Per altri, soprattutto donne, può essere sinonimo di sofferenze, violenze, privazioni. La casa è tutt'altro che un luogo sicuro per le migliaia di donne in Italia e nel Mondo vittime di violenza domestica.

«Un dramma nel dramma, ci si sente in trappola 24 ore su 24». L'isolamento è una condizione a cui oggi siamo costretti, da settimane la nostra quotidianità si svolge tra le mura domestiche, ma esistono realtà che in questo momento sembrano essere passate in secondo piano. «È un dramma che potrebbe restare sommerso», afferma Irene Marino – psicologa, psicologa pediatrica, specializzanda in psicoterapia psicoanalitica. «In questo particolare momento le donne vittime di violenza domestica potrebbero sentirsi schiacciate dalla situazione. Tutto questo va irrimediabilmente ad aggravare lo stato di silenzio». Una situazione che già in condizioni di 'normalità' non viene vissuta in modo semplice. «L'atto di denuncia è già di per sé molto forte, è un percorso lungo e c'è il rischio che possa interrompersi a causa dell'isolamento fisico - ci spiega la dottoressa Marino - in questi casi il rapporto con i servizi potrebbe diminuire provocando una sorta di doppio isolamento».

«Poche chiamate e un silenzio che spaventa». Denise Ensignia, responsabile del centro antiviolenza "Casa delle donne", ci spiega del difficile momento che stanno vivendo tutti quelli che si occupano di violenza di genere, ci conferma che nell'ultimo periodo le chiamate da parte di donne vittime di violenza domestica sono via via diminuite, fino ad azzerarsi completamente per quanto riguarda il suo centro: «Ci sono donne che non possono chiamare perché vengono controllate dai loro aguzzini», racconta. «Insieme alle altre associazioni facciamo rete, ma la nostra strada è in salita, facciamo di tutto per mantenere anche telefonicamente un rapporto fiduciario, una sorta di ascolto osservante». A Reggio Calabria l'unico 'rifugio' che assicura ospitalità a donne vittime di violenza domestica è il Centro "Angela Morabito". Sei i posti in tutto disponibili. Anche qui nell'ultimo mese le chiamate sono nettamente diminuite. «La situazione è analoga su tutto il territorio nazionale», ci spiega Francesca Mallamaci, responsabile del centro di accoglienza, che aggiunge: «Abbiamo notato che diverse donne nell'ultimo periodo si rivolgono direttamente alle forze dell'ordine, tramite loro abbiamo ricevuto tre richieste di accoglienza in codice rosso in sole 24 ore». «Ho l'impressione che, come spesso accade, se se ne parla, quando si intensificano le campagne di divulgazione sugli strumenti di aiuto ed a loro tutela, le donne prendono nuovamente il coraggio di chiedere aiuto. Spero che continuino», afferma poche ore prima di comunicarci che, finalmente, è stata avviata la prima procedura per accogliere una donna che lo ha richiesto, secondo il protocollo da applicare in fase emergenziale. Le misure adottate dal Governo per contrastare la diffusione del contagio ha allungato l'iter per l'accoglienza, ma da più di una settimana il centro antiviolenza "Angela Morabito" ha a disposizione un appartamento privato per sopperire alle disposizioni ministeriali. «Per la nostra sicurezza e per quella delle donne che accogliamo viene richiesto un periodo di quarantena di due settimane e un tampone per verificare la negatività al coronavirus», ci spiega la dottoressa Mallamaci. «La circolare del Ministero prevede di ricercare una rete di riferimento alloggiativa per mettere a disposizione b&b e hotel dove le donne da ospitare possano trascorrere la quarantena. Da questo punto visto abbiamo potuto contare solo sulle nostre disponibilità». I locali per la quarantena obbligatoria sono, infatti, ancora un grosso problema per le associazioni che si occupano di accoglienza, «Se ci fossero più richieste sarebbe difficile poterle soddisfare tutte - afferma la dottoressa Mallamaci - è bene che le Istituzioni facciano la loro parte».

--banner--

«Noi andiamo avanti, ma esiste un problema culturale ed economico». Le enormi difficoltà che le associazioni riscontrano in questo periodo in cui vige l'obbligo del distanziamento sociale, tuttavia non impediscono loro di portare avanti un lavoro che richiede enormi sacrifici e una grande passione. «È già difficile portare avanti il nostro lavoro in condizioni di 'normalità', andiamo avanti solo ed esclusivamente attraverso progetti», afferma Denise Ensignia. «Se dovessimo far fronte a tutto solo con i finanziamenti della Regione avremmo chiuso già da un pezzo, – ci spiega Francesca Mallamaci – ma crediamo fortemente in quello che facciamo e andiamo avanti». Un impegno, quello dei centri antiviolenza che operano a Reggio Calabria, che non si ferma a cercare di «limitare i danni», ma che punta soprattutto alla prevenzione. Diversi gli incontri che vengono fatti per sensibilizzare bambini e ragazzi nelle scuole, ma le responsabili dei centri non hanno dubbi: «Si fa ancora troppo poco, una goccia nell'oceano». Poche le ore a disposizione durante gli appuntamenti sporadici in cui professionisti del settore hanno la possibilità di confrontarsi con gli adulti del domani, nessun programma specifico, quasi nullo il coinvolgimento delle famiglie. A fare la differenza potrebbe essere un'educazione mirata a prevenire quei comportamenti frutto di un'interpretazione superficiale e completamente errata che spesso si ha del ruolo della donna nella società. «È un problema radicato, in questo momento la comunicazione è fondamentale, ci sono donne completamente emarginate che stanno vivendo un enorme dramma: la casa che per noi è un rifugio per loro è una prigione».

 

Il 1522 è un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità. Il numero, gratuito è attivo 24 h su 24, accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking.

 

Leggi anche: Come un supporto psicologico ci può aiutare ad affrontare l'isolamento e le paure provocate dal Coronavirus