Boss dato in pasto ai maiali: per il Tribunale sono millanterie di un giovane cocainomane

operazioneerinni600di Angela Panzera - Tutte millanterie. Simone Pepe non è quell' "angelo della morte" capace di dare in pasto ai maiali due uomini ancora vivi- e ucciderne altri due- bensì un giovane, cresciuto tra Roma e Oppido Mamertina a "pane e 'ndrangheta" e col vizietto della cocaina che però, non ha avuto alcun ruolo nella lunga faida intercorsa nel 2012 nel piccolo centro della Piana di Gioia Tauro. Ed è infatti, il presidente della Corte d'Assise di Palmi, Silvia Capone, nelle motivazioni della sentenza "Erinni" a spiegare le ragioni che hanno portato alla sua assoluzione e a quella degli altri coimputati. Per il pm antimafia Giulia Pantano cinque dovevano essere gli ergastoli. Alla fine del lungo dibattimento però, hanno retto "solo" le accuse di associazione mafiosa, riciclaggio, intestazione fittizia di beni, detenzione illegale di armi, procurata inosservanza di pena e droga. Gli omicidi di Francesco Raccosta, Carmine Putrino, Vincenzo Ferraro e Vincenzo Raccosta per il pm Giulia Pantano andavano puniti con il carcere a vita. Niente da fare, all'esito del dibattimento sono stati assolti dall'accusa di omicidio Giuseppe Ferraro ,difeso dall'avvocato Francesco Siclari, Rocco Mazzagatti, Simone Pepe, difeso dai legali Guido Contestabile e Giovanni Piccolo, Pasquale Rustico e Domenico Scarfone (quest'ultimo difeso da Fabio D'Acunto, Nico D'Ascola e Marco Panella). Per il duplice omicidio e il sequestro di persona di Francesco Raccosta e Carmine Putrino erano accusati Rocco Mazzagatti, Domenico Scarfone, Pasquale Rustico, Giuseppe Ferraro e Simone Pepe. Quest'ultimo era ritenuto dalla Dda responsabile anche degli altri due delitti. Per quanto riguarda l'omicidio di Ferraro la Corte d'Assise è netta: "non può rilevarsi già dalla lettura del narrato del Pepe l'esistenza di incoerenze e contraddizioni intrinseche che ne minano alla base l'attendibilità". Per i giudici di Palmi non ci sono dubbi: dall'istruttoria dibattimentale è stata "smentita l'autenticità del narrato del Pepe" e quindi deve pertanto concludersi che non già di confessione si possa parlare bensì di invenzione del Pepe per fini di millanteria. Peraltro gli elementi oggettivi di contrasto e le contraddizioni del racconto che ne smentiscono l'autenticità e veridicità finiscono per convergere sul dato di partenza e ciò che Pepe il 13 marzo non era ad Oppido Mamertina, ma a Roma dove era ampiamente localizzato". Stesse conclusioni per il delitto di Vincenzo Raccosta. Ma se l'inchiesta "Erinni" ha avuto eco nell'opinione pubblica, oltre per aver fatto finire in galera giovani e vecchie leve della 'ndrangheta di Oppido Mamertina capeggiata dalla cosca Mazzagatti, è stata anche per quella macabra intercettazione- che per l'Antimafia era una confessione in piena regola- in cui il figlio di Mimmo Bonarrigo, presunto boss morto ammazzato e dalla cui morte avrebbe avuto origine la faida, si "vantava" di aver dato in pasto ai maiali i cognati Francesco Raccosta e Carmine Putrino, ritenuti coinvolti nel delitto del patrigno. La loro auto abbandonata fu trovata il 14 marzo del 2012, in località "Tresilico", di fronte all'ingresso del cimitero di Oppido. I loro corpi non furono mai più ritrovati e anche per la Corte d'Assise la loro scomparsa non è un allontanamento volontario bensì un duplice omicidio. Un duplice omicidio però, che non vede in Pepe né l'esecutore materiale né il mandante.

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"Le ricerche effettuate dalla Compagnia dei Carabinieri di Palmi- è scritto nelle motivazioni- per ritrovare gli scomparsi furono tutte vane: né il controllo dei varchi autostradali, né delle videocamere sul tratto della Salerno-Reggio Calabria- né delle liste dei passeggeri dei voli aerei restituivano il dato del rilevamento del mezzo, né del transito dei due giovani(...) La Corte condivide l'assunto della pubblica accusa secondo il quale Francesco Raccosta e Carmine Putrino sono stati uccisi. Non si sono mai allontanati in vita da Oppido Mamertina". Simone Pepe quindi che intercettato raccontava di aver preso prima, a colpi di pala i due uomini e poi di averli appesi per i piedi e gettato in pasto ai maiali ancora vivi, avrebbe raccontato "fandonie" dalla prima all'ultima parola. E la Corte per arrivare all'assunto assolutorio compara tutte le versione fornite dal giovane durante le intercettazioni. "Dal raffronto tra i due racconti non mancano delle contraddizioni- chiosano i giudici. Ma al di là delle contraddizioni intrinseche, in sé già segnale di allerta in ordine alla veridicità e genuinità del racconto, è il contrasto con le emergenze investigative di carattere oggettivo che incrina fortemente l'attendibilità del narrato. Il Pepe dichiarava che i maiali, in un caso addirittura una sola scrofa, divoravano entrambe le vittime in due o tre minuti. Già immaginare un animale domestico come un maiale che spalanca le fauci per ingoiare uno dopo l'altro due uomini interi in appena due o tre minuti risulta assolutamente incredibile". Durante il lungo dibattimento poi, la Corte ha affidato ad un consulente, esperto in materie zoologiche, una sorta di perizia in cui occorreva verificare se davvero un maiale di 250 chili (così come Pepe ha riferito) potesse o meno trucidare due uomini in "due-tre minuti" e soprattutto se potesse far sparire completamente i corpi. Il consulente ha messo per iscritto che ciò è quasi impossibile. Se proprio un maiale dovesse cibarsi di un corpo umano ci impiegherebbe non meno di 20-30 giorni e poi "è di difficile realizzazione- è scritto nella consulenza- che un suino adulto possa far totalmente scomparire ogni traccia di un eventuale corpo umano ingerito". Ed ecco quindi che Pepe va assolto dall'accusa di omicidio. "Gli elementi di prova- è riportato nelle motivazioni- rappresentate dalle dichiarazioni intercettate di Simone Pepe risultano insufficienti per pervenire ad un giudizio di responsabilità, con conseguente assoluzione del coimputato Ferraro per non aver commesso il fatto". Ma se Simone Pepe quindi ha millantato in riferimento ai quattro omicidi di Oppido, molte di quelle stesse intercettazioni in cui lo legherebbero alla cosca di Oppido invece, sono risultate sufficiente per fargli rimediare una condanna a 15 anni di carcere per associazione mafiosa.