Maurizio Poli dipinge la propria casa di amaranto: "Mi piacerebbe tornare come osservatore"

policasaamarantoC'è chi soffre il lockdown più degli altri. È il caso di Maurizio Poli, vera bandiera della Reggina, che probabilmente ha dovuto rimandare una delle sue annuali discese in riva allo Stretto. Per passarsi il tempo, ha ormai dipinto di amaranto tutte le pareti esterne della propria villa a Cisterna di Latina. Dopo gli auguri di Pasqua inviati in formato video tramite la figlia Martina ai tifosi, l'immenso Maurizio è intervenuto in videochiamata a Reggina Tv.

"Di Reggio mi mancano i tifosi e la gente che mi voleva bene, col cuore sono rimasto lì – ha esordito Poli sul canale ufficiale amaranto - Fosse capitato questo stop a noi nel 1999? Prima la salute, giusto fermarsi. Per quanto riguarda la soluzione, se riprendono i campionati di Serie A e B ci saranno promozioni e retrocessioni. Che di conseguenza coinvolgerebbero anche la Serie C".

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Un retroscena già noto ai tifosi di lunga data: "In allenamento mi ruppi il menisco e lesionato il crociato anteriore. Quando andai ad operarmi a Vicenza, il chirurgo mi disse che senza menisco avrei potuto giocare finché tenevo. Ogni martedì e giovedì facevo potenziamento in palestra. Ancora ce la faccio. Era il 1992".

Tanti i messaggi che chiedono a Poli di tornare alla Reggina in altra veste: "Forse mi piacerebbe fare l'osservatore. Ma questo calcio non mi appartiene più".

Poi arriva il prezioso supporto tecnico della moglie Patrizia, per mostrare le pareti esterne tutte dipinte di amaranto: "Il mio cuore è rimasto a Reggio, dove ho tutte le migliori amicizie tra cui la famiglia Scevola – ammette la signora Patrizia - Per un anno, quando Maurizio è andato al Savoia, sono rimasta a Reggio e non ho avuto difficoltà. Tra chi mi accompagnava i figli a scuola e chi mi indicava dove fare la spesa, non ho sentito la mancanza di mio marito. Non volevo andare via da Reggio".

Il grande Poli aggiunge il dettaglio, e non è la prima volta: "Dopo dieci anni a Reggio, non mi si può mandare Colomba a dirmi che devo andarmene. Mi sarei aspettato che fosse venuto il presidente a chiedermi se volevo rimanere fino a giugno, per poi eventualmente prendere il patentino da allenatore". Una ferita troppo profonda per chiudersi.